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Donne al vertice, un guadagno

di Guido Romano *

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Venerdí 06 Marzo 2009

Le donne al vertice delle imprese italiane sono poche, molto meno della media europea, e questo è un fenomeno noto, di cui da qualche tempo si è iniziato a discutere. La novità che emerge da una ricerca di Cerved sulle donne manager è un'altra: le imprese guidate dalle donne vanno meglio rispetto alle altre, accrescono più velocemente i ricavi, generano più profitti, sono meno rischiose. Secondo le statistiche della Commissione europea, il l'Italia è 29ª (su 33 Paesi censiti) per numero di donne presenti nei consigli d'amministrazione delle società quotate in Borsa (con il 4% degli amministratori, contro una media della Ue a 27 dell'11%), seguito solo da Malta, Cipro, Lussemburgo e Portogallo.

Utilizzando gli archivi di Cerved sui soci e sugli amministratori delle società di capitale italiane, è possibile allargare il campo d'osservazione anche alle aziende non quotate: la presenza femminile nei consigli d'amministrazione delle imprese con un fatturato maggiore di 10 milioni risulta pari al 14%, in leggera crescita rispetto al 12% osservato nel 2001.

Le imprese in cui il potere è in mani femminili sono una rarità: i consigli d'amministrazione con una maggioranza femminile, o quelli costituiti da sole donne, rappresentano infatti un'esigua minoranza nel panorama della società di capitale italiane. Rispetto alle oltre 18mila imprese tutte maschili, le società con un board prevalentemente costituito da donne sono solo 1.850, il 6,4% del totale delle imprese con ricavi oltre i 10 milioni; di queste, sono solo 767 quelle in cui il Cda è tutto al femminile. Una quota consistente delle società considerate, il 21,4%, è tuttavia costituita da imprese con un solo amministratore, in cui non esiste un vero e proprio board che discute e decide le strategie aziendali. Escludendo queste imprese dai conteggi, esistono solo 86 aziende con un Cda completamente femminile (complessivamente, le imprese in cui il board è a prevalenza femminile sono 1.169). Le società con un Cda tutto maschile sono invece la maggioranza, circa 13mila, e quelle dove le donne sono presenti, ma in minoranza, circa 7mila (un terzo del totale). I consigli d'amministrazione a prevalenza femminile sono diffusi soprattutto tra le imprese attive nel campo dell'istruzione, della sanità o dell'assistenza personale, nel tessile-abbigliamento, nell'industria del mobile, mentre quelli in cui è più raro trovare imprese con una maggioranza di donne al comando sono le utility, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, le attività ricreative.
Le statistiche indicano chiaramente che le poche aziende in cui le donne occupano la maggioranza o la totalità delle poltrone di comando sono concentrate tra le imprese minori: solo l'11% delle società a prevalenza femminile supera i 50 milioni di fatturato (contro una percentuale media del 21%). La bassa presenza di donne nei Cda delle imprese maggiori appare in tutta la sua evidenza quando si focalizza l'attenzione sul gotha dell'economia: nei board dei primi dieci gruppi o aziende italiane per fatturato non vi è nemmeno una donna; tra le prime 15, solo il gruppo Benetton e Vodafone hanno un board non completamente maschile (1 donna nel cda Benetton e 2 in quello Vodafone). Considerando i soli bilanci d'esercizio ed escludendo quindi i gruppi dal conteggio, le donne sono presenti solo in 9 delle prime 50 società italiane e la prima impresa in cui il numero di donne non è inferiore a quello degli uomini è la numero 24 del ranking, la Marcegaglia Spa (due uomini e due donne nel Cda); per trovare la prima società con un board composto in maggioranza da donne bisogna scendere addirittura al numero 442 della graduatoria.
Nell'ambito della ricerca, Cerved ha anche individuato la figura di un capo, il top manager dell'azienda cui compete la responsabilità dell'attività operativa dell'impresa. Le società in cui il capo è una donna sono 2.652 (il 9,2% dell'insieme d'osservazione). Le top manager italiane, mediamente più giovani dei loro colleghi uomini, sono alla guida di imprese più piccole (sono donne solo il 3,8% dei capi tra le società con ricavi oltre i 200 milioni) con un board meno strutturato o del tutto inesistente.

Studi recenti hanno dimostrato che le banche applicano tassi d'interesse maggiori alle imprenditrici, senza che questo sia giustificato da un diverso profilo di rischio delle donne rispetto agli uomini. I dati di Cerved sulle società di capitale confermano che la rischiosità delle imprese a guida femminile non è affatto superiore rispetto alle altre e, anzi, sembrano evidenziare l'esistenza di un vero e proprio “D factor”: nonostante siano imprese più piccole (che, in generale, hanno conseguito risultati peggiori rispetto alle società maggiori nel periodo considerato), le aziende con una donna come top manager hanno accresciuto più velocemente i ricavi, generato più margini lordi, chiuso più frequentemente l'esercizio in utile. Evidenze empiriche suggeriscono anche che, quando le donne sono in maggioranza nel Cda, si riduce il rischio di default.

  CONTINUA ...»

Venerdí 06 Marzo 2009
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